Questo borgo alpino è diventato capitale europea dei formaggi senza che nessuno se ne accorgesse

Nella provincia lombarda si concentra un patrimonio caseario unico, tra alpeggi, cultura e riconoscimenti internazionali

Non è un’etichetta turistica, né un titolo inventato per promuovere un evento: Bergamo è davvero la capitale europea dei formaggi DOP. Con nove denominazioni d’origine protetta legate al proprio territorio, la provincia lombarda detiene un primato senza eguali in Europa.

Un risultato che nasce da una storia secolare, da un paesaggio dominato dalle valli orobiche e da una sapienza che ha trasformato la lavorazione del latte in un’arte quotidiana. Il riconoscimento più prestigioso è arrivato nel 2019, quando Bergamo è stata ufficialmente inserita dall’UNESCO tra le Creative Cities of Gastronomy, a testimonianza di un tessuto produttivo e culturale che sa tenere insieme tradizione, territorio e innovazione gastronomica.

Dalle valli orobiche al mondo: il modello caseario di Bergamo

Chi pensa che i formaggi italiani più celebri siano patrimonio esclusivo dell’Emilia-Romagna, della Toscana o del Sud Italia, dovrà ricredersi. La vera capitale dei formaggi è in Lombardia, e il suo segreto è scritto nelle valli, nelle malghe, nei casèi di montagna. A fare la differenza è la transumanza: una pratica antica, ancora viva, che ha permesso per secoli di trasformare il latte raccolto in alpeggio in decine di varianti, diversissime per tecniche di produzione, stagionatura, tipo di latte, flora batterica. Fin dal XIII secolo, i casari bergamaschi – chiamati “Bergamì” – erano già noti per la loro abilità.

Grana Padano DOP
Il Grana un esempio di eccellenza del territorio bergamasco-conformaonline.it

A questa tradizione, oggi, si affiancano disciplinari rigorosi, consorzi di tutela e una rete di piccoli produttori che resistono alla standardizzazione industriale.

Uno dei simboli più rappresentativi è lo Strachitunt DOP, un erborinato prodotto in Val Taleggio con la tecnica “a due paste”: una lavorazione rara, complessa, che alcuni storici del gusto considerano un precursore del Gorgonzola.

Abbandonato per decenni, è stato riportato in vita grazie a un lavoro di recupero che ha visto coinvolte intere comunità locali. Ogni fiera, ogni degustazione in Città Alta, ogni festival come FORME serve anche a questo: a restituire valore a quei formaggi che rappresentano non solo un gusto, ma un modo di vivere il territorio.

Insieme allo Strachitunt, brillano altre DOP meno note ma altrettanto radicate: come il Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana, formaggio d’alpe la cui delicatezza contrasta con la durezza dell’ambiente in cui nasce. Il suo nome trae in inganno: “mut” non indica una vetta ma un pascolo d’alpeggio, e dietro quelle tre parole si cela un mondo fatto di erbe spontanee, stagionalità e rapporti millenari tra uomo e montagna. È questa la grammatica con cui si raccontano i formaggi a Bergamo: memoria viva, che si evolve ma non dimentica.

Stili, confini e identità: un sistema che unisce cultura, turismo e sapore

Il mosaico DOP bergamasco è fatto di nomi noti e meno noti, ma tutti legati da una geografia precisa. Accanto a Strachitunt e Formai de Mut, ci sono il Taleggio, il Grana Padano, il Quartirolo Lombardo, il Provolone Valpadana, il Gorgonzola e perfino una quota del Bitto DOP, che pur nascendo in Valtellina comprende anche comuni della Valle Brembana.

Un dettaglio non da poco, che dimostra come i confini caseari non seguano le mappe amministrative, ma quelli naturali: le valli, le quote, i pascoli, i sentieri della transumanza. È in questo intreccio che Bergamo diventa un crocevia unico in Europa.

La città ha saputo valorizzare questa ricchezza non solo con la produzione, ma con la divulgazione. Ogni anno, in autunno, si svolge FORME, una manifestazione che trasforma Città Alta in un laboratorio del gusto: casari, degustazioni, conferenze, masterclass, tutto all’insegna del dialogo tra il pubblico e chi il formaggio lo fa ogni giorno. Non è un evento per addetti ai lavori, ma per chiunque voglia capire come nasce un prodotto DOP, e perché la cultura del formaggio in queste valli è lingua madre.

E poi ci sono le contaminazioni, che raccontano un’identità gastronomica sfaccettata: il Moscato di Scanzo, ad esempio, è una DOCG piccolissima, tutta bergamasca, spesso accostata ai formaggi erborinati in degustazioni che uniscono vino e alpeggio. Il risultato è un racconto coerente, profondo, in cui le vigne, i prati e le cucine parlano la stessa lingua. Non è un caso che l’UNESCO abbia voluto premiare questo equilibrio: qui la gastronomia è cultura diffusa, fatta di persone, paesaggi e sapori che resistono al tempo e sanno parlare anche al mondo.