Bastano due settimane di snack confezionati per alterare il cervello dei giovani

Una dieta ricca di alimenti industriali spinge i ragazzi a consumare più snack anche quando non hanno fame, aumentando il rischio di obesità.

Che gli alimenti ultraprocessati non facciano bene non è una novità, ma oggi c’è una conferma che mette in allarme i genitori e chi si occupa di salute pubblica: secondo una nuova ricerca condotta negli Stati Uniti, bastano due settimanedi una dieta ricca di cibi industriali per cambiare il comportamento alimentare dei giovani adulti, spingendoli a consumare più calorie anche in assenza di appetito.

Il rischio? Che l’esposizione precoce a questi alimenti favorisca lo sviluppo dell’obesità già dall’adolescenza. Lo studio, finanziato dai National Institutes of Health, è stato pubblicato sulla rivista Obesity e ha osservato gli effetti comportamentali di due diete opposte in un gruppo di ragazzi e ragazze tra i 18 e i 25 anni.

Due diete opposte, stessi nutrienti: ma i risultati cambiano tutto

I ricercatori della Virginia Tech hanno selezionato 27 partecipanti, divisi in due gruppi che hanno alternato due tipi di dieta: una basata per l’81% su cibi ultraprocessati come merendine, snack confezionati, cereali industriali e yogurt alla frutta; l’altra, invece, con cibi freschi e minimamente lavorati come verdure, legumi, frutta secca e yogurt bianco. Le due diete erano equivalenti dal punto di vista calorico e nutrizionale: stessi zuccheri aggiunti, fibre, vitamine e persino densità energetica. La variabile chiave era il grado di lavorazione industriale, dalla texture al confezionamento.

Cibo spazzatura
Cibo spazzatura e snack-conformaonline.it

Il test è stato condotto su ognuno dei ragazzi in due fasi separate da un periodo di pausa, così da avere dati comparabili senza variazioni legate al peso o al metabolismo. Alla fine di ogni fase, i partecipanti venivano invitati a una colazione libera, in modalità “all you can eat”, per misurare il loro comportamento alimentare. Il dato emerso è netto: dopo due settimane di dieta ultraprocessata, i ragazzi tra i 18 e i 21 anni tendevano a consumare più cibo rispetto agli stessi giorni in cui avevano seguito la dieta naturale. Peggio ancora, avevano una maggiore propensione a fare spuntini extra anche senza fame.

Questa tendenza, spiegano i ricercatori, è un indicatore precoce di sovralimentazione cronica e di rischio obesità. Il meccanismo non dipende dai nutrienti, ma dall’interazione sensoriale con il cibo: gli aromi artificiali, la consistenza perfetta, i colori e l’assenza di sforzo nel consumo stimolano il cervello a cercarne ancora. “Fare spuntini senza fame è un forte predittore dell’aumento di peso – ha detto Alex DiFeliceantonio, autore dello studio – e i cibi ultraprocessati sembrano alterare il modo in cui i giovani prendono decisioni alimentari.”

Le conseguenze sulla salute pubblica e la necessità di interventi

Non tutti i partecipanti hanno reagito allo stesso modo. I ragazzi tra i 22 e i 25 anni non hanno mostrato gli stessi cambiamenti comportamentali: il che suggerisce che esista una finestra di vulnerabilità nella fascia 18-21, durante cui il cervello è particolarmente influenzabile. Ma la preoccupazione è più ampia. Secondo altri studi pubblicati in parallelo su The Lancet, i cibi ultraprocessati stanno cambiando radicalmente le abitudini alimentari globali, rimpiazzando progressivamente i cibi freschi e cucinati in casa.

Carlos Monteiro, il professore brasiliano che ha inventato la classificazione NOVA per distinguere i gradi di lavorazione del cibo, avverte che gli ultraprocessati non sono solo un problema nutrizionale, ma sociale: costano poco, si trovano ovunque, sono altamente pubblicizzati e costruiti per generare dipendenza. “Non possiamo incolpare i singoli – ha detto – servono politiche sanitarie coordinate per limitare produzione e marketing di questi prodotti e garantire a tutti l’accesso a cibi sani e non lavorati.”

L’esempio arriva proprio dal Brasile, dove dal 2026 il 90% degli alimenti serviti nelle mense scolastiche dovrà essere fresco o minimamente lavorato. Un passo deciso in direzione opposta rispetto al trend globale. Intanto, negli Stati Uniti, le previsioni sono allarmanti: se la tendenza non cambia, nel 2050 un giovane americano su tre sarà obeso, con tutte le conseguenze fisiche, psicologiche e sanitarie che questo comporta.

Conoscere il nemico invisibile nel piatto è il primo passo per fermarlo

L’alimentazione non è solo una questione di calorie o grassi: è una questione di relazione con il cibo. I cibi ultraprocessati, grazie alla loro struttura industriale, alterano questa relazione, soprattutto nei più giovani. Quando aromi, consistenze e colori sono progettati per essere irresistibili, il cervello smette di riconoscere i segnali di sazietà, amplifica il desiderio di cibo e riduce il controllo.

Questo studio lo dimostra con chiarezza: l’iperlavorazione conta più degli ingredienti stessi. Per questo è urgente agire non solo sulle etichette ma anche sull’ambiente in cui i ragazzi vivono, scelgono, mangiano. Se non si interviene adesso, la nuova generazione crescerà in un mondo dove mangiare bene non sarà più una scelta reale, ma un privilegio per pochi.