Le vesciche ellittiche, le afte in bocca e la caduta dell’unghia: i sintomi a cui fare attenzione, anche se l’isolamento non è obbligatorio.
Febbre improvvisa, mancanza di appetito, un bambino che sembra più stanco del solito: a volte basta poco per capire che qualcosa non va. In molti casi, si tratta della malattia mani-bocca-piedi, un’infezione esantematica molto contagiosa che si diffonde facilmente tra i bambini piccoli, soprattutto negli ambienti scolastici. Il nome descrive bene le zone colpite: vesciche e lesioni compaiono sulle mani, nella bocca e sui piedi, anche se possono estendersi ad altre aree.
I sintomi variano, da lievi a più fastidiosi, e non tutti i bambini sviluppano febbre. Alcuni presentano solo qualche linea, altri invece temperature alte. Le manifestazioni più critiche coinvolgono spesso la bocca, dove afte dolorose possono rendere difficile anche solo bere un sorso d’acqua. Negli adulti, la malattia si presenta in forma più leggera, ma resta comunque contagiosa.
Un altro segnale da non sottovalutare si manifesta settimane dopo la fase acuta, con la caduta di un’unghia, un fenomeno noto come onicomadesi. Non fa male, ma spaventa chi non sa che può accadere. Riconoscere i sintomi, sapere come avviene il contagio e agire nel modo corretto può evitare complicazioni inutili.
Come si manifesta e quali sono i segnali da riconoscere subito
I primi sintomi non sono sempre chiari. Spesso si parla di “giorni strani”, in cui il bambino è più irritabile, dorme male o perde interesse per i giochi. Le prime vescicole ellittiche compaiono su palmi delle mani, pianta dei piedi e all’interno della bocca. A differenza della varicella, non provocano prurito intenso e non hanno forma rotonda.
I pediatri segnalano che nei bambini più piccoli possono comparire anche in altre aree, come glutei o regione pelvica. Il problema più serio è rappresentato dalle lesioni orali, che rendono difficile alimentarsi e aumentano il rischio di disidratazione. Le afte, che spesso si formano su lingua e gengive, causano dolore anche se il bambino ha fame, creando disagio sia a lui che ai genitori. A queste si associa a volte febbre molto alta, anche se non è sempre presente.

L’infezione è causata da virus della famiglia Enterovirus, in particolare il Coxsackievirus A16, ma esistono anche ceppi come A6, A10 e, in Asia, il più aggressivo Enterovirus A71. Quest’ultimo non è stato segnalato in Europa, dove i casi tendono a risolversi senza conseguenze gravi. L’incubazione dura tra i 3 e i 6 giorni, ma il virus resta attivo nelle feci per settimane, anche dopo la scomparsa dei sintomi. Questo rende il contagio frequente nei luoghi chiusi frequentati dai bambini, come nidi e scuole materne.
Non servono contatti diretti: basta una superficie contaminata, un giocattolo condiviso o un semplice starnuto. Il virus si trasmette anche con la saliva, le secrezioni respiratorie e perfino con un abbraccio. Per questo, lavarsi spesso le mani, pulire le superfici e disinfettare gli oggetti usati dai bambini è ancora oggi la difesa più efficace. Al momento non esiste un vaccino disponibile in Europa per le forme più comuni. In Asia è stato sviluppato un vaccino per l’Enterovirus A71, ma non è autorizzato nei Paesi occidentali.
Cosa fare quando compare la malattia e come gestire i sintomi
La prima settimana è quella in cui il bambino è più contagioso. Non esiste un obbligo di isolamento, ma i pediatri consigliano di tenerlo a casa almeno finché non scompare la febbre e le vescicole si seccano. Anche se non ci sono prescrizioni legali, è una forma di tutela per gli altri bambini e per gli adulti più fragili. Le cure si concentrano sulla gestione dei sintomi: per la febbre si usano paracetamolo e ibuprofene, sotto consiglio medico. Se il dolore è forte anche senza febbre, si possono somministrare gli stessi farmaci per dare sollievo. Per la bocca, molti genitori usano gel a base di aloe o prodotti specifici per le afte, applicati con toccature delicate. Non sempre funzionano subito, ma aiutano a ridurre il dolore.
La vera terapia, spiegano gli specialisti, è il riposo e la vicinanza emotiva. Coccole, libri da leggere insieme, qualche concessione extra aiutano il bambino a superare il disagio. Gli schermi vanno evitati, perché aumentano l’irritabilità. Meglio attività leggere, senza forzature. Durante la malattia, è essenziale monitorare l’idratazione: se il bambino rifiuta acqua e liquidi per più di mezza giornata, meglio contattare il pediatra.
In genere, la guarigione avviene entro 7-10 giorni, senza bisogno di antibiotici. Resta solo una possibile conseguenza a distanza: la caduta delle unghie. Un effetto collaterale che compare tra la seconda e l’ottava settimana, anche quando tutto sembra finito. Non provoca dolore né problemi di salute, ma può allarmare chi non ne conosce l’origine. L’unghia ricresce spontaneamente e senza complicazioni.
L’importante è sapere che si tratta di una malattia benigna, diffusa ma gestibile, a patto di riconoscerla in tempo e adottare misure di buon senso. I pediatri italiani, come Alberto Ferrando, raccomandano di non forzare i bambini a tornare a scuola troppo presto, né di sottovalutare i sintomi solo perché la malattia è definita “comune”. Una buona informazione resta lo strumento principale per proteggere la salute dei più piccoli, e anche degli adulti.