A pochi chilometri dal centro di Firenze, tra filari di ulivi che si stringono intorno a borghi silenziosi, si estrae un olio che porta con sé la geografia e la storia della Toscana. Non è solo condimento: è il risultato di regole precise, climi locali e scelte agronomiche che hanno trasformato un prodotto contadino in un marchio riconosciuto sui tavoli degli intenditori. Qui intorno a Fiesole, San Casciano e Calenzano, fino ai rilievi del Chianti, il profumo dell’oliva schiacciata racconta più di una generazione di coltivatori.
La storia moderna di questo prodotto parte da una scelta imprenditoriale e collettiva: alla fine degli anni Ottanta nasce una compagine che riunisce produttori attenti alla qualità e alla tutela del territorio. Il risultato è un disciplinare che impone olive prodotte esclusivamente in Toscana e raccolte entro il 30 novembre, con frangitura rapida per preservare gli aromi. Un dettaglio che molti sottovalutano è proprio il tempo tra raccolta e lavorazione: nelle migliori aziende non si superano le 24 ore, spesso si lavora entro le 6 ore, perché è lì che si decide il carattere dell’olio.
Il freddo eccezionale del 1985, che distrusse gran parte degli oliveti regionali, è un passaggio chiave: da quella crisi emersero accordi e regole più stringenti. L’intuizione di alcuni produttori, tra cui la famiglia Frescobaldi, ha portato a disciplinare pratiche agronomiche e standard qualitativi in anticipo rispetto alla normativa nazionale. Oggi il nome che accompagna questa tradizione rimanda a radici antiche ma anche a scelte moderne: il Laudemio è diventato sinonimo di un olio extravergine d’area, riconoscibile per equilibrio e freschezza. Secondo gli organi di produzione, il profilo gustativo tende ad un lieve piccante e una persistente nota fruttata, esito di clima, altitudine e varietà locali.
Frantoi e fattorie: dove nasce il carattere del Laudemio
La produzione di quest’olio non è concentrata in un unico impianto: sono ventuno i punti produttivi distribuiti tra le province interessate, spesso inseriti in tenute che combinano oliveti, vigneti e allevamenti. I frantoi sono posti nel cuore delle aziende agricole, incastonati tra colline e borghi, e rappresentano il dispositivo tecnico dove il lavoro manuale incontra la tecnologia. È lì che si decide la freschezza del succo, la temperatura della molitura, la separazione delle frazioni: scelte concrete, misurabili, che incidono sul risultato finale.
Un esempio pratico è la Fattoria San Michele a Torri, nella Val di Pesa. La tenuta si estende per oltre 1.113 ettari, con circa 28.000 piante impiantate e una parte significativa destinata a oliveti e vigneti. Qui le varietà predominanti sono Frantoio, Moraiolo e Leccino, con presenze di Maurino e Rossellino Cerretano: combinazioni che determinano profili aromatici diversi, dall’erbaceo al carciofoso. Un dettaglio che molti notano è la diversa resa per varietà, che influisce sulle scelte di raccolta e sulle tempistiche del frantoio.
Le visite guidate in queste fattorie seguono un percorso che alterna passeggiata tra gli ulivi secolari, spiegazioni tecniche sulla molitura e degustazioni nella cosiddetta Orciaia, la “cantina” dell’olio. La sequenza di assaggi permette di confrontare l’iconico Laudemio con altre produzioni aziendali e blend rari, sempre accompagnata dalla semplice fetta di pane con aglio e olio — la classica fettunta — che mette a nudo qualità e difetti del prodotto.

Esperienze sul territorio: safari, torri e castelli
Visitare le terre di produzione significa anche scegliere esperienze che uniscono natura e cultura agricola. A breve distanza dalle vie turistiche di Firenze si possono intraprendere safari in fuoristrada tra i filari, percorsi che attraversano oliveti, boschi e cave di pietra serena. Questi tour rivelano un paesaggio diverso da quello delle cartoline: recinti con animali da allevamento, giardini sperimentali e, in alcuni punti, antiche cave che fornirono materiale per opere rinascimentali. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è proprio la varietà degli usi del territorio.
Alla collina di Maiano, una tenuta di circa 300 ettari lavora in chiave biologica e in collaborazione con università e centri di ricerca, con un frantoio al centro del borgo antico e degustazioni pubbliche. La storica Torre di Maiano, trasformata in suite dall’architetto Simone Micheli, offre un’esperienza che unisce il soggiorno alla scoperta sensoriale dell’olio: qui il profumo dell’extra vergine si mescola al paesaggio lacustre e alla vista della campagna.
Più a est, nel Chianti Rufina, il Castello di Nipozzano custodisce 300 ettari di oliveti tra i 200 e i 500 metri di altitudine; il microclima conferisce alle olive una freschezza che si traduce in note di erba tagliata, carciofo e salvia, con una piccantezza misurata. La famiglia che gestisce il frantoio offre visite che includono il soggiorno in camere ricavate dall’antico impianto, colazioni con prodotti fatti in casa e accesso a cantine storiche: un’occasione per capire come il paesaggio si legge anche nel gusto.
Per chi preferisce la tavola, ristoranti agrituristici come L’Unico a Scandicci servono piatti preparati con materie prime direttamente dalle tenute locali — salumi di Cinta Senese, zuppe e paste fatte in casa, carni allevate sul posto — offrendo una lettura gastronomica del territorio. È un modo concreto di misurare la relazione tra olio, agricoltura e vita quotidiana: il sapore che resta su una fetta di pane mostra più di ogni descrizione la geografia del Laudemio.