Sinni. Qui, in provincia di Matera, esiste una reputazione che si è stratificata nel tempo e che molti hanno preferito evitare persino di pronunciare. Quel luogo è Colobraro, citato spesso come “quel paese” nella memoria collettiva regionale. Le origini della fama sono radicate in racconti di eventi strani, coincidenze e dicerie che hanno accelerato una narrazione collettiva: una storia che ha preso forma tra tribunali, piazze e pettegolezzi. Secondo la tradizione locale, un episodio avvenuto durante un processo negli anni Quaranta — con il crollo di un lampadario subito dopo una frase pronunciata in aula — contribuì a trasformare il nome del paese in sinonimo di sfortuna. Non è la sola versione: altri racconti, riportati dagli anziani, parlano di donne accusate di magia, le cosiddette magare, e di comportamenti ritenuti anomali. È un quadro che, per decenni, ha inciso sull’immagine pubblica del borgo e sul modo in cui le comunità vicine si sono relazionate a esso. Un dettaglio che molti sottovalutano è come queste storie siano rimaste vive non tanto per il loro contenuto oggettivo, ma per la forza della memoria orale: chi racconta modifica, chi ascolta aggiunge. Questo processo ha alimentato stereotipi che hanno pesato sull’identità locale, influenzando percezioni e scelte di vita.
Una fama che si trasforma in racconto pubblico
memoria popolare e sulla reinterpretazione critica delle leggende: percorsi teatrali, letture pubbliche e performance che ribaltano la prospettiva del mito. Il percorso-spettacolo intitolato “Sogno di una notte… a quel paese” è diventato un punto di riferimento per chi visita il centro storico, offrendo una lettura ironica e consapevole delle storie che hanno creato la fama. Gli abitanti partecipano attivamente, indossando costumi d’epoca e proponendo piatti tradizionali; allo stesso tempo, la presenza di pubblici diversi ha sollevato interrogativi su sostenibilità e conservazione del tessuto urbano. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è l’impatto concreto di questi eventi sulle attività locali: botteghe, ristorazione e alcune attività agricole registrano un afflusso che compensa, in parte, la stagnazione demografica. La messa a valore della propria identità, per questo borgo, è avvenuta anche attraverso la promozione di luoghi fisici: da non perdere il Palazzo Marchesale, che domina la valle, e la Chiesa di San Nicola di Bari, con il suo campanile che segna l’orizzonte visivo del paese. La scelta di valorizzare questi riferimenti ha permesso di costruire percorsi tematici che connettono patrimonio materiale e immaginario collettivo.

Tra turismo e identità: il bilancio di una scelta
Il cambiamento culturale ha aperto una questione più ampia: che rapporto può avere un borgo con una fama storica negativa e con le dinamiche del turismo contemporaneo? A livello pratico, la rinascita passa per la creazione di servizi, per la manutenzione degli edifici e per la promozione di esperienze che uniscano autenticità e sicurezza. Il piccolo Museo delle Magie e delle Streghe è un esempio di come si possa trasformare la curiosità in strumento didattico: esposizioni, testimonianze e oggetti raccolti raccontano il fenomeno delle credenze lucane senza spettacolarizzazione. Il risultato è un percorso che stimola la riflessione piuttosto che la morbosità. Chi studia i processi di valorizzazione territoriale sottolinea che questo tipo di iniziative funziona quando c’è partecipazione locale; per questo molte azioni sono promosse da associazioni e amministrazione comunale, che collaborano con operatori culturali. Un dettaglio che molti sottovalutano riguarda la stagionalità: l’afflusso legato agli eventi estivi non sempre sostiene l’economia per l’intero anno, dunque servono politiche integrate per favorire ricettività e servizi. Allo stesso tempo, l’esperienza del borgo mostra come si possa governare una trasformazione simbolica senza cancellare la complessità storica: turismo e identità si confrontano, si intrecciano e possono diventare leva per la conservazione del patrimonio. Nel corso dell’anno, visitatori e residenti si trovano a rivedere opinioni consolidate: la reputazione si dimostra modificabile e la gestione del racconto può produrre benefici concreti, a patto che le scelte siano sostenibili e condivise.