A Kathmandu, al terminal dei voli in partenza per le piste d’alta quota, gruppi con zaini ingombranti e guide locali si preparano a lasciare la valle per entrare nell’Himalaya. Qui il trekking non è un’attività ricreativa: è una sequenza di misure, permessi, giorni di acclimatamento e scelte chiare sul passo da affrontare. Chi organizza itinerari rischia di conoscere ogni variazione di sentiero; Avventure nel Mondo è uno dei nomi più ricorrenti tra gli operatori che accompagnano gruppi italiani. In Nepal il paesaggio si misura in altitudine e in cultura: dai villaggi lungo i fiumi ai monasteri isolati, ogni tappa cambia il contesto logistico e sociale. Himalaya non è soltanto una parola evocativa, ma un insieme di condizioni da valutare prima di partire. Un dettaglio che molti sottovalutano è la necessità di pianificare i giorni di acclimatamento in base all’età e alla forma fisica del gruppo.
I classici: Annapurna ed Everest
Tra i percorsi più frequentati ci sono l’Annapurna e il sentiero verso il Campo Base dell’Everest. L’Annapurna rimane un riferimento per chi cerca panorami variabili e infrastrutture di supporto lungo il percorso. Esiste una versione più rapida, proposta anche da agenzie italiane, pensata per ridurre i tempi senza rinunciare ai punti panoramici principali. Si tratta comunque di cammini superiori ai 200 km complessivi se si percorrono vari anelli e di giornate con dislivelli significativi. La salita al passo del Thorung porta oltre i 5.400 m, ed è necessario prevedere soste tecniche e controllo dei sintomi legati all’altitudine. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è la differenza tra fatica muscolare e malessere da altitudine: vanno gestiti separatamente.

Il trekking verso il Campo Base dell’Everest è invece un’esperienza che mette al centro l’ambiente sherpa e la cultura monastica. Il percorso alterna ponti sospesi, gole profonde e villaggi dove il supporto logistico è più articolato. Molte proposte includono la salita al Khala Pattar (5.545 m), da dove si ottiene una vista ravvicinata sulle pareti glaciali, e l’opzione tecnica di scalare l’Island Peak (circa 6.189 m) per chi ha esperienza alpinistica. Un dettaglio che molti sottovalutano è la variabilità meteo in alta quota: le finestre utili per le uscite possono stringersi anche nel corso dell’anno.
Gli itinerari meno battuti: Mustang, Kanchenjunga e Saribung
Se l’Annapurna e l’Everest rappresentano i percorsi “di riferimento”, regioni come il Mustang e il Kanchenjunga offrono un’esperienza diversa, spesso più legata alla cultura locale. Il Mustang si presenta come un altopiano arido oltre i 4.000 metri, con canyon e tonalità di ocra che cambiano rapidamente la percezione del paesaggio. Qui le tappe possono superare i 20 km e i 1.000 m di dislivello in alcune giornate: è un ambiente in cui il cammino diventa gestione del ritmo e dell’approvvigionamento idrico. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è l’alterazione delle risorse nei villaggi, con meno servizi disponibili per i trekker.
Il Kanchenjunga, a est, è più remoto e meno frequentato. La terza cima del mondo domina foreste antiche e praterie alpine, e il trekking richiede una buona esperienza escursionistica: si arriva fino a quote attorno ai 5.140 m e si attraversano territori con minore rete di rifugi. Per chi cerca isolamento e paesaggio incontaminato è una scelta valida, ma implica maggiore autonomia logistica. Per finire, il Saribung rappresenta il livello estremo: oltre 13.000 m di dislivello complessivo, circa 234 km di sviluppo e cinque passi sopra i 5.000 m. È più una spedizione che un trekking di massa, con supporto ridotto e imprevisti da gestire: un aspetto che sfugge a chi pianifica senza esperienza diretta.
Un dettaglio che molti sottovalutano è l’importanza del gruppo: il viaggio si vive insieme, e la scelta di compagni con ritmo simile riduce rischi e tensioni. Un’altra osservazione pratica riguarda i permessi: in alcune regioni remore, come il Mustang, servono autorizzazioni speciali che richiedono tempistiche precise. Un aspetto che molti notano è la differenza nella rete di servizi tra la valle di Kathmandu e le aree orientali o occidentali.
Preparazione, logistica e cosa aspettarsi
Partire per uno di questi trekking richiede decisioni concrete su allenamento, equipaggiamento e organizzazione. Le agenzie o i tour operator forniscono supporto, ma la responsabilità personale resta centrale: monitorare la condizione fisica, prevedere giorni di acclimatamento e sapere riconoscere i segnali del mal di montagna sono passaggi non negoziabili. Gruppo, preparazione e equipaggiamento sono parole chiave nella fase pre-partenza. Un dettaglio che molti sottovalutano è la qualità delle calzature: scarpe adeguate riducono il rischio di infortuni e migliorano la gestione dei dislivelli.
Logisticamente, i trasferimenti interni possono essere lunghi e soggetti a ritardi; per questo è utile prevedere margini di tempo tra voli nazionali e punti di inizio trekking. Nei percorsi ad alta quota è utile avere una copertura sanitaria che includa evacuazione e consulti medici; un aspetto che sfugge a chi pianifica solo il lato naturalistico. Anche l’alimentazione durante il cammino merita attenzione: aumentare l’apporto calorico e idrico nelle giornate lunghe è fondamentale per mantenere le performance.
Per chi decide di partire, la conseguenza concreta è spesso un cambiamento di prospettiva: chi torna racconta meno la vetta e più le soste nei villaggi, le conversazioni con le guide e la gestione quotidiana del cammino. Un dettaglio che in molti notano è la maggiore attenzione al ritmo personale rispetto alla conquista di punti geografici. Per chi vuole informazioni pratiche su itinerari, permessi e condizioni, il contatto con operatori esperti è la strada per ridurre incertezze e prendere decisioni informate.